Testo e foto di Andrea Semplici

Nelle città, soprattutto nei luoghi del turismo, si moltiplicano di ristoranti, bar, pizzerie, osterie che cercano camerieri. Ne mancano più di cinquantamila in Italia. Cosa sta succedendo?

Matteo ha 37 anni, è nato in un piccolo paese delle montagne lucana. Ora vive in Abruzzo, a un passo dal mare. Fa il cuoco. Anche suo padre è cuoco. ‘Mia madre non voleva che seguissi le orme di mio padre. Diceva che questo mestiere è antifamiglia. Mi spinse verso ragioneria, ma io vedevo mio padre e la cucina è una passione. Non sono diventato un ragioniere’. Fra maggio e la fine di settembre, Matteo lavorerà ogni giorno, mattina e sera. I pochi giorni di vacanza saranno fuori stagione. ‘Questo lavoro mi piace’. E la sua famiglia, due figli, è bella.

Non si trovano camerieri. Ne mancano, a secondo delle diverse fonti, fra 40mila e 55mila. Più credibile, la seconda: sono dati Unioncamere. Un quarto delle richieste di camerieri, fra ristoranti e alberghi, rimane senza risposta. ‘Ai tempi di mio padre, dal paese, a ogni stagione turistica, partivano almeno cinquanta ragazzi: in inverno salivano fino a Cortina, in estate andavano nelle riviere adriatiche. Oggi sono meno delle dita di una mano a partire’, dice Matteo. Ogni giorno, dalla Valpolicella a Torino, leggi la notizia della chiusura di un ristorante. Per i costi, ma anche per carenza di personale (c’è un saldo negativi, fra aperture e chiusure, di poco più di diecimila ristoranti in meno nel 2022). Difficile trovare camerieri con qualche esperienza, mancano i canditati, mancano le figure professionali adeguate, si lamentano i ristoratori. Chef stellati raccontano che la prima richiesta che i ragazzi fanno è il part-time. E che si lamentano degli stipendi. Secondo l’ultimo rapporto annuale sulla ristorazione, presentato dalla Fipe, la Federazione dei Pubblici Esercizi, un cameriere può guadagnare, come paga lorda, fra 10 e 28mila euro l’anno (una forbice altissima). Ed è vero che spesso non viene concesso nemmeno un giorno libero a settimana, che si lavora dieci ore al giorno, che sono accordi precari, sottopagati, molte volte ‘in nero’.

In Italia ci sono poco meno di quattrocento istituti alberghieri. Oltre duecento sono raggruppati in una rete nazionale, la Renaia. Luigi Valentini, preside dell’istituto Crocetti Cerulli a Giulianova, in Abruzzo, ne è il presidente. ‘Noi non siamo una fabbrica di camerieri, noi formiamo e aiutiamo a crescere dei ragazzi. Che potranno diventare camerieri. Ma se, nel lavoro, troveranno risposte inadeguate, non faranno questo mestiere. Lo cambieranno’. Il preside Valentini è diplomatico, a suo modo filosofico, sa che molti ragazzi, usciti dagli istituti, sbatteranno contro un mondo del lavoro spesso impietoso. ‘I ragazzi hanno un sogno, vanno accompagnati, incoraggiati, vanno aiutati a realizzarlo. Non puoi deluderli e maltrattarli. Altrimenti accettano di fare i camerieri, ma alla prima occasione scapperanno. Oggi i ragazzi non credono più al mondo degli adulti’.   

Gli chef, i cuochi, sono le stelle dei ristoranti. Vanno in televisione. I camerieri sono quasi sempre condannati all’invisibilità. Lavoro pesante, si sentono privati di una loro dignità, costretti a mansioni che non sono le loro. Si chiamano cuochi di fama e architetti per rendere sfolgorante un ristorante, e, troppo spesso, si risparmia sui camerieri. ‘Eppure sono il biglietto da visita di un ristorante – dice Valentini – Quando entri in un locale è un cameriere ad accoglierti. E la sofferenza è proprio nella sala. Puoi avere la cucina migliore del mondo, il cuoco più bravo, ma se hai un pessimo servizio, il cliente non torna più’.

(Questo post è stato pubblicato dal Messaggero di Sant’Antonio)