Si esce da ‘Perfect Days’ diversi da come vi si è entrati. Il film di Win Wnders non è la semplice storia di un uomo che pulisce i bagni pubblici di Tokyo, è uno spiraglio sulle possibilità della vita. E, per me, c’era qualcos’altro: dove altro avevo visto la sorprendente architettura dei cessi della capitale del Giappone. Solo a notte, in mezzo a un sogno che ripercorreva il film, mi sono ricordato: avevamo scritto noi di questi bagni. Noi, di Erodoto. Anzi Agostino. Quando? Quattro anni fa, immagino. E ora Win Wenders li rende paesaggio di un film che ci racconta che si può godere della vita. E allora siamo riusciti a trovare quanto Agostino aveva scritto e fotografato…

Dicevamo allora:

E se i wc rivelassero l’anima di un paese? Un viaggiatore si sorprende delle delizie che nascondono i bagni di questo paese. E, instancabile, li visita uno per uno: dalle toilette dei templi più sacri ai washlet tecnologici dove persino la seggetta si inchina di fronte al visitatore

Testo e foto di Agostino Falconetti

Primo scenario: la tradizione. Grande tempio di legno di Nikko, a Nord di Tokyo. Luogo incantato, rifrescato da un torrente le cui acque scorrono leggere. La scritta è in francese: toilette. Un lungo corridoio. Sulla porta mi attendono due ciabattine di bambù. Pavimento di legno biondo, una stanza sobria, finestre di carta, ceramiche bianche. C’è il suono di una fila di campanellini posti sopra al davanzale, il vento li scuote lievemente.  Colgo il senso del wabi sabi, come concezione del mondo nella sua visione estetica. Vi è il senso del piacere, come quando stai in casa mentre fuori piove. Piccoli momenti, non grandi gesti.

Secondo scenario: la modernità. Naruta, il grande aeroporto di Tokyo. Lo sguardo viene attratto da un manifesto gigantesco illuminato da migliaia di led, la pubblicità dei WC supertecnologici. In vista delle Olimpiadi, l’associazione della Japan Sanitary, che unisce colossi come Toto, Panasonic e Toshiba, sta lanciando sul mercato in anteprima uno standard unico per i pannelli dei WC.  Questa accoglienza mi prepara all’esperienza sensoriale ed interattiva dei washlet, i primi sanitari smart. Fu la Toto, multinazionale giapponese, a inventare, dopo la fine della guerra, il washlet (il WC con la doccetta)un’alternativa “progressista” alla tradizionale turca. Il Giappone voleva sanitari all’occidentale. Decise non solo di passare dal buco a terra al trono, ma di portare quest’ultimo all’eccellenza. E così andare in bagno è diventata, con il tempo, una esperienza interattiva 2.0. Fra non molto sarà addirittura in 5G.

Ueno, immensa stazione ferroviaria di Tokyo. Cerco un bagno pubblico. All’ingresso c’è un grande schermo: il display, coloratissimo, mostra una piantina colorata che indica quali servizi igienici sono liberi e la tipologia di WC a disposizione. Nei bagni femminili ci sono dei seggiolini utili per tenere i bambini che non camminano mentre la mamma è impegnata sul WC. Come un samurai, punto verso la porta numero undici segnalata dalla mappa col colore azzurro (men) e col puntino verde (free). Apro e mi appare il washlet: con cortese riverenza mi accoglie sollevando da solo il coperchio. Lo sciacquone parte premuroso da solo risparmiandomi microbi e sforzo.  Assolto il suo umile, ma dignitoso compito, il coperchio obbediente si richiude. Sulla sommità del cassone, in bella vista, c’è un piccolo rubinetto che mi permette di sciacquare le mani con l’acqua pulita. Lo utilizzo subito, ammirando il percorso diretto dell’acqua al cassone che riduce così per quanto possibile i consumi. L’acqua ricarica il cassone stesso rendendo minore il numero dei lavandini nei bagni pubblici. Mentre esco, avverto un profumo di gelsomino: nell’aria viene spruzzato un deodorante igienizzante.

Al mattino, in albergo, voglio ripetere l’esperienza smart. Il washlet non mi tradisce: anche qui la seggetta di alza da sola, quasi mi saluta. Se le mostri la schiena alza solo il coperchio. Se invece arrivi di fronte, i sensori di posizione capiscono che sei un maschietto in posizione pipì e alzano anche l’asse. Già, l’asse: è riscaldata. Un privilegio. Non potrai più farne a meno. Indago su una consolle a fianco del WC, e ne studio il telecomando. Avanguardia pura. Una serie di icone segnala i comandi per l’aria condizionata, il riscaldamento dell’asse, il getto di acqua calda o fredda, l’intensità dello scarico, il sistema automatico igienizzante, il bidet, il phone asciuga-sedere, il wireless e poi il comando con quella solitaria nota musicale dove c’è scritto plug in sound. Una vera colonna sonora, una playlist molto ambient. Curioso, voglio ascoltarla. La prima traccia simula l’effetto sonoro dello scarico. Uno scroscio d’acqua lento e prolungato. Non so se il sound sia solo per coprire rumori molesti o anche, perché no, per conciliare. Nel dubbio passo alla traccia numero due: cinguettio di usignoli nel bosco. New age. Poi la pista numero tre: tremolio di foglie accarezzate vigorosamente dal vento. Quindi una selezione musicale con soavi brani di fondo.

All’appoggio sulla ciambella, si innesca silente uno spruzzo di acqua calda verso il basso, un dolce vapore che inumidisce la ceramica per favorire lo scivolamento dello sporco. Un’idea geniale di prevenzione. Puoi perfino fare a meno della carta igienica: usi il bidet. Premi un bottone e si alza un piacevole spruzzo. Mi appassiono. Diventa una specie di gioco. Un sottile cannello esce dalla parte posteriore del water senza sfiorare il mio corpo. Si avvicina ma non tocca. E ora acqua. Dal telecomando attivo il ritmo e l’oscillazione del getto. Per non parlare del piacere di gestire l’intensità e  la temperatura: con un po’ di immaginazione puoi avvertire una fresca pioggerellina di aprile o un geyser islandese.

“Lascia che il passato scorra via insieme all’acqua”, invita un proverbio giapponese.