Il testo che segue non è un articolo. E’ uno spunto didattico nel convincimento che Erodoto 108 sia una fonte di materiali per un’interpretazione della geografia come viaggio visivo ed emozionale.

Il pezzo di riferimento “Ritorno a Mompracem”è on line in Erodoto 108 storie dall’esilio 1. E’ interessante per un docente perché propone una visione diacronica del paesaggio nel confronto tra le pagine di uno scrittore famoso come Emilio Salgari e la finezza narrativa di un giornalista come Andrea Semplici.

L’attività può essere utilizzata in una classe capovolta individualmente o in un laboratorio a piccoli gruppi. La schedatura proposta nella tabella sottostante è solo un suggerimento e può essere una base per “esercizi di viaggio”. 

Ad esempio (si propone la struttura del lavoro per gruppi):

1. Riflessione sulla trasformazione del paesaggio

Dividete la classe in gruppi di quattro studenti. Ogni studente ha una copia della tabella. 

Date queste indicazioni operative (ogni componente del gruppo può occuparsi di una voce):

  • sottolineare con colori diversi le piante, gli animali, gli elementi del paesaggio naturale e gli elementi del paesaggio umano
  • raccogliere gli elementi individuati e dividerli in due insiemi: al tempo di Salgari e oggi
  • cercare immagini che diano indicazioni visive precise degli elementi (se possibile usando l’aula di informatica)
  • raccogliere le immagini più significative, stamparle e incollarle su un cartellone diviso in due parti: al tempo di Salgari e oggi.
  • fare una foto della bozza di lavoro ottenuta.

A casa ogni componente del gruppo trasforma la foto in un disegno personale, usando i colori e i materiali che desidera. 

Si confrontano in classe i disegni. Risulteranno, pur negli elementi simili, diversi. 

Si riflette sulla percezione soggettiva di elementi oggettivi. 

Si riflette sulla trasformazione attraverso il tempo: quale paesaggio piace di più? Quello salgariano o quello attuale? Anche in questo caso prevale l’interpretazione soggettiva. Il paesaggio dunque è la percezione individuale di un luogo.

Si annotano tutte le parole chiave con cui si è espresso il confronto. Ogni gruppo prepara una relazione descrittiva della zona che sintetizzi i diversi lavori individuali da integrare allo studio oggettivo del testo di geografia.

Alla fine si chiede agli studenti se questa attività ha suscitato la loro curiosità e il desiderio di esplorazione del luogo.

2. I modelli economici

Dividete la classe in coppie. Il compito è: “Scrivi la descrizione economica delle attività del territorio al tempo di Salgari e oggi. Come si pongono queste attività in relazione con il paesaggio? Sono sostenibili?”.

La relazione può integrare lo studio dell’economia presente nel libro di geografia e permette di valorizzare la componente diacronica e interdisciplinare.  Al tempo stesso mostra come “Ritorno a Mompracem” non si fermi alla superficie dei luoghi, ma cerchi di intercettarne l’anima attraverso il tempo, giocando tra le parole di Salgari e quelle contemporanee di Andrea Semplici.

Studiare il Borneo attraverso questo confronto trasmette un’esperienza di viaggio che esula dal turismo di massa per porre al centro il soggetto che vede, che interpreta sulla base della sua formazione personale, che si pone delle domande e che insegue le risposte tra paesaggi e incontri. Le fotografie dell’articolo ne completano il significato focalizzando alcuni dei concetti espressi.

“Mompracem, Labuan e il Borneo: i luoghi attraverso il tempo”In SalgariOggi
MompracenAnche in quella notte del 20 dicembre del 1849, quando cominciarono le più celebri fra le avventure dei pirati della Malesia, «imperversava un uragano violentissimo» e «nere masse di vapori» correvano nel cielo come «cavalli sbrigliati».Sbarchiamo a Mompracem sulla
coda di un tifone. Abbiamo atteso
per ore a Labuan che la
tempesta si calmasse. La furia delle
onde non voleva placarsi. La pioggia
tropicale era incessante. Perché
stupirsi?
Mompracem, l’isola di Sandokan,
«isola selvaggia e di fama sinistra,
covo di formidabili pirati».
Sbarchiamo a Mompracem (…). Il pontile sotto
il faro è marcio, le assi sono scivolose e malconce. Le onde di marea stanno riconquistando la spiaggia. La foresta, oltre gli
scogli, è color verde cupo e le grandi felci
luccicano di umidità. Non c’è la rupe da dove Sandokan scrutava gli orizzonti dei mari della Cina, non c’è il villaggio dei tigrotti della Malesia, non c’è la capanna-reggia
che ha ospitato Marianna.
Non ci sono più i feroci dayack di Sandokan, ma poveracci in cerca di un’altra vita.Ci avevano detto che l’isola era deserta: i marinai della nostra barca tacciono
quando scopriamo due villaggi di palafitte.
Sono immigrati clandestini filippini
sull’isola dei pirati.
La Tigre della Malesia,
ansiosa di ammirare Marianna, «creatura meravigliosamente bella», nipote adolescente, dalle origini italo-inglesi, di Lord James Guillonk, «capitano di vascello di Sua Maestà la graziosa imperatrice Vittoria», vi sbarca di nascosto. Occulta il praho, la barca dei mari della Malesia, «sotto l’oscura ombra di grandi alberi» e si perde in una foresta vergine. Barriere di «tronchi colossali caduti per decrepitezza», «fitte reti» di calamus e nepentes, la pianta carnivora, un labirinto di «centomila radici» che
ostacolano il cammino vero il palazzo della Perla di Labuan. Ma Sandokan e i suoi pirati, senza esitazioni, si «cacciano sotto le piante del pepe, i cui rami erano carichi di grappoli rossi», «sotto gli artocarpus o alberi del pane e gli arenga, fra le cui foglie svolazzano dei battaglioni di lucertole volanti». Sostano al riparo di un «colossale durion, la cui frutta deliziose, irta di punte durissime, si agitavano sotto i colpi di becco di uno stormo di tucani».
A Labuan volavano, allora, «colombe coronate», «tucani dal becco enorme e dal corpo scintillante di piume rosse e azzurre», capaci di emettere suoni come cigolii di «un carro male unto». Sono splendide le «belle alude con le penne color turchese». E ancora:
«scimmie dal naso lungo», le nasica
dalla «voce rauca» e «dall’appendice rossa, screpolata, come se vivessero esclusivamente di liquori inebrianti»: fuggono «con grida di spavento» all’apparizione di Sandokan e Yanez.
Labuan, oggi, è un’isola di affari,
di commerci di alcolici, un paradiso fiscale
tax-free, porto off-shore per banche e
compagnie di assicurazioni. I musulmani e
i tecnici stranieri del petrolio del sultanato
islamico del Brunei vi sbarcano, come un
esercito compatto, per fare shopping, per
fare soldi, per andare a donne, per bere
birra in santa pace. I tramonti da estasi
equatoriale, ora, si riflettono, non su alberi
immensi, ma sui vetri scuri dell’ hotel Sheraton
e dei grattacieli del Financial Park Complex.
Il BorneoLo sapevano anche le bande di Sandokan e Yanez che Gaya è un dono del Dio dei pirati: «è uno dei posti più meravigliosi per nascondervi una flottiglia, essendo quei paraggi
tutti irti di scoglietti estremamente pericolosi e battuti sempre da una risacca violentissima che rende l’approdo assai difficile».
Lo sanno bene i ragazzi dagli occhiali a
specchio che pilotano le veloci boat-taxi fra Kota Kinabalu e i villaggi dell’isola. Lo sa il capitano del traghetto verso il resort. Tutti navigano con velocità e prudenza in questa
baia: gli scogli sommersi, oggi, sono segnati da grandi boe colorate.
Una grande rupe precipita in mare, una
breccia nella roccia appare come un oblò.
Clay Vincent, la nostra guida a Gaya, racconta con parole astute: «È una nave pirata. Si è pietrificata dove aver finito di correre i mari. Se passi di qui la notte, sentirai le voci dei marinai».
A Gaya la flottiglia di Yanez
aspettava l’ordine di salpare contro il sultano
del Brunei. Il pirata bianco ha lasciato
dietro a sé un veliero di pietra?
Le sue scogliere di rupi e mangrovie,
le sue foreste di alberi della canfora, «di mangostani e palme pisang dalle gigantesche foglie», «di piante gommifere e liane rampicanti», «di colossali alberi della canfora» dove «cicalavano bande di tucani dal
becco enorme», «di preziosi sagù dai cui tronchi si estrae una fecola assai nutritiva», proteggono la foce del fiume Sarawak: qui, fra gli strepiti delle scimmie nasica e i voli superbi dei buceri dal becco rinforzato, si nascosero davvero i pirati in attesa dell’assalto finale contro la città del rajah. Questi sono «i banchi sabbiosi», sono le «scogliere contro le quali rompesi la furia del mare».
Qui le ciurme assetate di sangue di Sandokan affilarono i kriss e i parang, i coltellacci della foresta «lunghi un mezzo metro», prima di gettarsi all’assalto della fortezza di James Brooke.
Bako oggi è un orgoglioso parco nazionale, il primo della Malesia (fu creato dagli inglesi nel
1957).
Yanez sognava sempre di mangiarsi «le
costolette dei babirussa», i maiali selvatici dai dentacci storti. Ecco, pascolano a frotte sulla spiaggia di Bako. I pirati di Sandokan si sfamarono con le loro carni. Yanez combatté contro gli oranghi nelle foreste del
Borneo: quegli scimmioni, gli urangoutan, come li chiama Salgari, i maias, come sono conosciuti dai malesi, avevano rapito la bella olandese Lucy Wan Harter, amica del pirata bianco. Gli oranghi difesero la loro preda gettando addosso agli uomini che li inseguivano i pesanti frutti del durion. Chi li ha visti, bitorzoluti e «irti di punte durissime», sa quanto possono essere micidiali i durion se usati come armi. Yanez sterminò la famiglia degli oranghi-rapitori.
Oggi queste scimmie sono a rischio: non sono più di ventimila fra Borneo e Sumatra. La foresta è stata tagliata, l’80% dell’ambiente tropicale che proteggeva queste scimmie è
stato devastato. Yanez, per fortuna, non potrebbe cacciare Mike, grande orango maschio, scimmione che i ranger del centro di
riabilitazione di Semongok, a Sarawak, cercano
di riabituare alla foresta dopo anni di
cattività. Lui non si difende a colpi di durion,
ma si accontenta delle banane offerte
dai suoi custodi. È un’attrazione per turisti.
Sandokan rimarrebbe stupito di quanto la sua isola sia cambiata in poco più di un secolo e mezzo. Kuching, la città dei gatti, ai suoi tempi, era un villaggio sul fiume «ombreggiato da superbi alberi e solcato da prahos, da piroghe, da canotti». «Bizzarre casette a tetto arcuato» formavano il quartiere cinese. I dayack vivevano in capanne «di foglie di nipa, piantate su pali di rispettabile
altezza».
Oggi è la mole invadente
dell’hotel Hilton ad affacciarsi sul fiume Sarawak. Piccole tambang, barchette leggere,
con i rematori che sembrano gondolieri di Venezia, fanno la spola fra le due sponde (e
il tettuccio delle barche ha la pubblicità del
cornetto Algida). I ragazzi di Kuching,
mano nella mano, passeggiano per il waterfront, il lucente e disneyano lungofiume. I
vecchi pescano con lunghe lenze. I castellotti
costruiti dai Brooke sono illuminati con
luci di Natale.
Sandokan possedeva un kriss «dalla lama serpeggiante e avvelenata».Nel bel museo della città sono conservati
i kriss, i pugnali a forma di serpente
(ogni ansa ha un nome), patinati con l’arsenico,
del rajah bianco e dei pirati. Dicono
che quando un kriss ha ucciso, può spingere
la persona che lo impugna a uccidere
ancora.

Al termine delle attività potete proporre la lettura individuale o in classe dell’articolo integrale. Perchè la geografia è una splendida storia da vivere e da raccontare.

Testo Luisa Fazzini – Foto Agostino Falconetti