Testo e foto di Valeria Cipolat

Il primo appuntamento a Saigon: la visita al Museo delle Rimembranze. Per ricordare quanto è accaduto in questa terra fra il 1965 e il 1975. E così riappare Kim Phuc, la bambina che corre piangendo ustionata dal napalm nordamericano. La sua foto rivelò al mondo occidentale cosa stava accadendo in Viet-nam

Quante volte avrò visto questa foto? L’ho incrociata in moltissime occasioni, ma vederla qui, oggi, a Saigon… le dà un significato completamente diverso.

La foto, scattata nel giugno del 1972 in un villaggio a 50 chilometri da Saigon, s’intitola “Napalm girl”.  E’ diventata forse la foto-simbolo della guerra che si stava svolgendo in Vietnam; ed è stato forse anche per quella foto che molti occidentali hanno preso coscienza di quello che stava veramente succedendo laggiù. Non lo so se sia stata anche una delle motivazioni per cui si sono formati i principali movimenti contro la guerra nel mondo, anche all’interno delle stesse forze armate statunitensi, ma è stata considerata dalla Columbia University al 41 posto tra le foto che hanno influenzato il 20th Secolo.

Si sa che la bambina nella foto è ancora viva e si chiama Kim Phuc (si legge “fuc”), ha oggi 62 anni ed è ambasciatrice per l’UNESCO. È stata inizialmente curata a Saigon per 14 mesi (portata inizialmente in ospedale era stata data per spacciata: i genitori l’hanno ritrovata tre giorni dopo in un reparto dove ammassavano i corpi delle persone in attesa di essere restituiti ai familiari). In seguito alle ustioni riportate durante l’attacco aereo ha dovuto subire 16 interventi chirurgici per cercare di alleviare i dolori delle scottature e ferite riportate. Ha studiato a Cuba e nel 1992 ha sposato un connazionale e si è trasferita in Canada, dove nel corso degli anni ha fondato un’associazione per aiutare altri bambini nel mondo.

In quella guerra l’esercito degli stati uniti d’america (volutamente in minuscolo) ha sperimentato tutto quel che gli passava per la testa, e il napalm che radeva al suolo interi villaggi, sembra quasi il male minore, a confronto con i primi proiettili al fosforo o all’Agent Orange, un erbicida e sfogliante il cui componente principale era la diossina. Veniva diffuso nell’aria sulla foresta, sui campi e sulle persone, provocando effetti devastanti a breve e lungo termine. Non ci sono riuscita; non ho potuto fare foto alle immagini di feti menomati, delle persone che avevano subito l’esposizione a tale agente chimico, contrariamente ai molti che si facevano selfie davanti alle immagini raccapriccianti esposte.

Guardo quelle immagini che, al confronto con quelle che riescono a passare la censura dei corrispondenti da Gaza, sembrano oggi molto “blande”. Ci siamo talmente assuefatti alla violenza e all’orrore della guerra che corpi amputati, smembrati, bambini decapitati non ci fanno quasi effetto.

Non posso non pensare a Gaza, a quel che sta succedendo oggi laggiù.

Tutto questo era esposto nel Museo delle Rimembranze situato al centro della città, dove mi sono diretta in moto, una volta lasciato il bagaglio al deposito del bar.

Museo delle Rimembranze a Ho Chi Minh city.

Quanto sappiamo veramente di questa guerra, protrattasi dal 1965 al 1975, se non quello che decine di film americani ci hanno fatto vedere? Vedendo queste immagini non posso non chiedermi: chi erano i “buoni” e chi i “cattivi”?

La parte del museo che in qualche modo rincuora e dà speranza per il futuro è quella dedicata ai vari badges (spillette) di movimenti in solidarietà con il Vietnam che si erano creati nel mondo a mano a mano che la guerra progrediva. A partire da quelli negli USA affiliati al Partito Comunista, dei movimenti studenteschi universitari e dei movimenti femministi contro la guerra. Mando una foto a un’amica gringa attempata che mi aveva raccontato che negli anni ’60 aveva sposato un suo compagno di università proprio per evitargli di essere arruolato per il Vietnam. “sperando di farti piacere” le scrivo, allegando la foto. Mi risponde qualche minuto dopo con un cuore e un grazie.

Pannello con spillette antiguerra dei Veterani Americani e del movimento anti arruolamento.

Un pannello “speciale” era dedicato a Cuba, con foto di Fidel in visita a una zona liberata nel 1973 e dell’equipaggio e volontari della nave con aiuti inviata dal piccolo Paese caraibico nel 1970. Ma quello che per me è forse il pannello più significativo è quello degli stessi Veterani statunitensi contro l’arruolamento obbligatorio.

Pannello con poster e fotografie di solidarietà di Cuba al popolo del Vietnam.

Un’altra area è dedicata ai giornalisti e fotografi di guerra che hanno perso la vita in quella dannata guerra. C’è anche Robert Capa, ucciso da una mina nel 1954, durante la Guerra d’Indocina, e una didascalia di un testimone che ha assistito agli ultimi suoi istanti. Senza di loro, testimoni testardi di una guerra “scomoda”, non si sarebbero sapute tante storie, tante vicende che ora sembrano “leggere”, come per esempio stragi di pattuglie statunitensi a villaggi e famiglie inermi.

Vado al confine con la Cambogia, è conosciuta come la zona ‘Napalm Girl’, qui è stata scavata una rete di cunicoli lunga 250 km. I Vietcong (dell’allora Vietnam del Nord) e la guerriglia della zona Sud combattevano i nemici americani. Di giorno l’esercito gringo bombardava villaggi e seminava morte e distruzione, mentre la notte, i tunnel che collegavano interi villaggi, venivano usati per per attaccare le difese dei sud-vietnamiti e degli americani.

I tunnel erano stati costruiti a mano, nel corso degli anni, fin dalla prima guerra d’Indocina e costituivano dei veri e propri villaggi sotterranei, che offrivano vie di fuga anche attraverso uscite di emergenza al fiume Saigon, che scorreva poco distante, o al di là della frontiera con la Cambogia, che offriva appoggio alla controinsorgenza.

Poster per la Pace, esposti all’esterno del Museo delle Rimembranze

Il 30 aprile è l’anniversario della caduta di Saigon. Accadeva cinquanta anni fa. A volte credo che niente sia cambiato da loro.