Testo e foto Alessandro Balduzzi

Arrivare all’Aquila dall’agostana costa adriatica è stato un po’ come riabbracciare l’autunno. Un abbraccio cauto che accompagna il coagularsi della schiuma marina in Appennino man mano che la ferrovia s’inoltra nell’entroterra d’Abruzzo. E da Sulmona si fa più sinuoso l’inoltrarsi, trainato dal binario unico e selvaggio che s’insinua lungo il corso dell’Aterno. Sotto un coperchio di nuvole gravide di pioggia le pareti scoscese finiscono per cedere il passo a una pianura e presto alla ferrovia s’affianca la statale 17, e con essa un traffico sommessamente suburbano, e una sequela di capannoni. La natura si diluisce nella spianata dove affiora la civiltà ferita, con le sue case nuove di un nuovo che non sa di festa, figlie di gru gialle e arcigne nel cielo di piombo. E ora la pioggia.

L’indomani reca con sé una luce nuova, di un sole che anch’esso da mediterraneo s’è fatto appenninico e si tuffa nelle pietrose facciate aquilane. Sono i giorni che precedono la cerimonia della Perdonanza, creazione di papa Celestino V e – con la concessione dell’indulgenza che si ripete annualmente dal 1294 – ritenuta il primo giubileo della storia.

La città è attraversata da un’effervescenza dal sapore inusuale in una località sì dell’entroterra ma sufficientemente vicina a spiagge che in agosto sarebbero deputate a sequestrarne gli abitanti in cerca di salso e tintarella. Di fronte alla cattedrale di Collemaggio si sta allestendo un palco che pur sottraendo al visitatore la bicromia bianco-rossa della facciata è uno dei frutti di una vivacità salvifica. In piazza Duomo, invece, si apparecchia il salotto cittadino, con locali intenti in strusci e aperitivi e turisti venuti a vedere dal vivo i luoghi di una tragedia che dai loro schermi si traduce infine in pietre urlanti.

Urla imbrigliate dai ponteggi, che si tacciono nel candore della facciata rinascimentale di San Bernardino e si trasformano in gorgoglii sommessi presso la fontana delle 99 cannelle. Urla che si immergono carsiche negli edifici rinati e riemergono nelle crepe di Palazzo Carli, storica sede del rettorato dell’università. Che infine si sono fatte metallo nel memoriale di piazzale Paoli, all’incrocio delle strade dove il terremoto del 2009 provocò più vittime.

A poca distanza, attaccati a una ringhiera, i ricordi di chi è rimasto: la lettera di una madre orfana della figlia, una bandiera greca, fiori sparsi. A poca distanza, il passeggio di aquilani e turisti che fa tornare alla vita la città in un anno che ancora guarda di sottecchi l’emergenza. Si avvicina la Perdonanza, ma che peccati avrai mai da scontare?