Testo e foto di Francesco Parrella

Chi arriva a Nuova Delhi anche solo per risalire su un aereo per Goa prima va ad Agra.
A vedere il Taj Mahal.
In auto o in treno la distanza dalla capitale indiana è la stessa anche in ordine di tempo. Un paio d’ore. C’è una vastissima scelta giornaliera di collegamenti ferroviari, ma, vista forse anche la capillarità della rete su ferro che raggiunge tutte le città dell’India, non sempre c’è certezza sugli orari programmati e può capitare di arrivare a destinazione anche il giorno dopo.
Non è il caso del treno regionale che ci porta ad Agra.
Confortevole, pulito, con aria condizionata, acqua e bevande calde incluse nel servizio a bordo.

Intanto, mentre il treno corre, oltre il finestrino si vedono decine di persone che defecano lungo i binari, e altre ne arrivano, tutte con una bottiglietta d’acqua in mano. Più il treno si avvicina ai villaggi, di capanne e qualche casetta in mattoni, che rimandano a remoti paesaggi africani, più il numero aumenta. A bordo, i turisti stranieri, per lo più tra quelli appena arrivati in India, appaiono silenti e sbalorditi, i pendolari neanche ci guardano oltre il finestrino.
Il treno puntuale arriva alla stazione centrale di Agra, oltre un milione e mezzo di abitanti, nella parte settentrionale dello stato federato dell’Uttar Pradesh.
All’uscita dalla stazione la “pressione” sui turisti organizzati non in tour è la stessa se non maggiore di quella vista a Delhi da parte dei conducenti di tuk tuk.
Diventa difficile persino orientarsi.


Sono in tanti a parlare, e ad avere fretta, una maledetta fretta, dettata dalla necessità di accaparrarsi qualche cliente prima che lo faccia qualcun altro, sebbene a tutti è chiaro che il taxi è necessario per arrivare al Taj Mahal, e magari più tardi anche al Red Fort, altra meraviglia architettonica di era Moghul ad Agra. Alla biglietteria dei taxi a tariffa pre-pagata, all’uscita della stazione, s’incontrano le stesse persone con le quali poco prima si era dibattuto per l’insistente offerta di un taxi.
In una manciata di minuti, attraversata la città vecchia a bordo di un tuk tuk, uno qualsiasi, si arriva al Taj Mahal. Ci sono diverse strade per arrivarci.
Una, porta a pochi passi dalla biglietteria.
L’altra, più a sud, a qualche chilometro di distanza.
Meglio concordare prima col conducente il percorso da fare, diversamente la destinazione sarà quasi certamente all’ingresso più lontano, dove ad attendere i turisti sono stavolta i cammellieri per il tradizionale percorso sul cammello, lungo il chilometro di strada in terra battuta che porta alla biglietteria.
Una volta entrati, passati i controlli di sicurezza, accurati al pari di un aeroporto, si giunge in un quadrilatero di edifici e mura storiche.


Da un varco centrale s’intravede in lontananza in tutto il suo splendore il monumento che più di altri rappresenta la principale attrazione turistica dell’India.
Dal 1983 Patrimonio tutelato dall’Unesco, dal 2007 tra le sette meraviglie del mondo. Sebbene da qualche anno il Taj Mahal è interessato da lavori di restauro, sono decine di migliaia i turisti, soprattutto indiani, che ogni giorno visitano il monumento.
Troppi, secondo le autorità indiane preposte alla tutela del sito, che per il futuro, la notizia è di questi giorni, autorizzeranno non più di 40mila ingressi giornalieri.
Nel limite non rientrano i visitatori stranieri. E a quanto pare neppure gli indiani, che, se vorranno, in caso di overbooking sugli ingressi, potranno ugualmente visitare il sito storico, ma pagando la tariffa separata applicata ai non indiani, 40 euro anzichè 13.